La figura non rivela dettagli e attributi in grado di chiarirne l’identità iconografica. La tunica scura visibile sulle spalle del personaggio inducono tuttavia a riconoscerlo in un santo o, meno...
La figura non rivela dettagli e attributi in grado di chiarirne l’identità iconografica. La tunica scura visibile sulle spalle del personaggio inducono tuttavia a riconoscerlo in un santo o, meno verosimilmente, in un filosofo dell’antichità.
Da un punto di vista stilistico il dipinto si distingue innanzitutto per una particolare scioltezza di impasto e l’utilizzo di una tavolozza calda, giocata su toni giallo-bruni, capace di restituire con grande efficacia realistica la consistenza irregolare dell’epidermide segnata dagli anni del protagonista della tavola. Si tratta di accorgimenti pittorici che rimandano in modo evidente alle conquiste della cultura figurativa fiamminga della prima metà del Seicento e soprattutto all’esempio di Van Dyck, evocato anche dagli effetti di luce corruschi - con una punta di intensità massima sulla parte alta della fronte - che fanno lievitare la figura dal fondo scuro.
Questi riscontri non impediscono però di cogliere le peculiarità tutte italiane del dipinto, che nella sua trepidante vena sentimentale, oltre che nella stessa caratterizzazione tipologica del volto, memore di certi vegliardi di Daniele Crespi, rivela in particolare una precisa pertinenza con gli orientamenti di stile della pittura barocca milanese, non a caso contraddistinta da una determinante predilezione per il magistero vandyckiano.
Conferma questa ipotesi la famigliarità con i modelli di Carlo Francesco Nuvolone e con quelli della maturità di Francesco Cairo ravvisabile nella tavola, che trova però la sua collocazione più convincente entro il catalogo di un altro protagonista di quella stagione artistica sviluppatasi in Lombardia nei decenni centrali del XVII secolo. Intendo alludere al ticinese Giovan Battista Discepoli, detto lo Zoppo da Lugano, l’artista cresciuto inizialmente nel solco delle esperienze di Camillo Procaccini e Morazzone, che a partire circa dal 1640 seppe però convertire vistosamente il proprio linguaggio in direzione barocca, imponendosi come una delle personalità guida di quel momento della pittura milanese, accanto ai già ricordati Cairo e Nuvolone (per una complessiva ricognizione della figura dell’artista: Giovan Battista Discepoli detto lo Zoppo da Lugano. Un protagonista della pittura barocca in Lombardia, catalogo della mostra presso la Pinacoteca Zust di Rancate, a cura di F.Frangi e A.Bernardini, Milano 2001).
A suggerire l’accostamento dell’opera al Discepoli contribuiscono innanzitutto le corrispondenze che legano il suo incanutito protagonista al repertorio fisionomico del pittore, all’interno del quale possono servire da utile termine di riferimento, a tale riguardo, i volti animati da un’analoga tempra umorale del profeta Elia nella pala con la Madonna in gloria e santi della chiesa di San Giorgio a Borgovico a Como (1651-1654; Giovan Battista Discepoli…, cit., pp.128-130, n.25; fig.1) e del San Giuseppe dell’Adorazione dei Magi delle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano (1651-1654; Giovan Battista Discepoli…, cit., pp.134-135, n.27; fig.2).
Non meno significative si rivelano però le indicazioni offerte dalla modalità della scrittura pittorica, che nella sua notevole sensibilità luministica, nutrita come si è detto di suggestioni vandyckiane, presenta una precisa consonanza con le nobili attitudini espressive del pittore ticinese. Ne forniscono una buona dimostrazione sia l’Adorazione dei Magi milanese appena chiamata in causa, avvolta in una simile atmosfera dorata e serale, sia l’intenerita Sibilla anch’essa conservata presso Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco (Giovan Battista Discepoli…, cit., pp.136-137, n.28), nobilitata da un trattamento pittorico delicato e soffuso che bene si affianca a quello della tavola qui presentata.
La sicura datazione intorno alla metà del secolo, e dunque negli anni della tarda maturità del pittore, dei dipinti appena chiamati in causa, costituisce valido termine di riferimento per la collocazione del nostro presunto santo, da immaginarsi realizzato in tempi contigui.
Merita infine di essere segnalata la profonda contiguità della tavola con gli esiti coevi della tradizione pittorica genovese, tra Orazio de Ferrari e Giovan Battista Castello, requisito ricorrente di tutta la produzione avanzata del Discepoli.